Cremona, un controverso modello di trasporto pubblico

Lungo le rive del Po che si adagia nella vasta distesa alluvionale della Pianura Padana da antichissimo tempo sorgono due importanti centri che oggi definiremmo di provincia ma che secoli fa costituirono dei baluardi dell’avanzata della civiltà romana (quella che certamente più caratterizza i nostri centri urbani) nell’Italia padana, in quella che allora era definita la Gallia Cisalpina (ovvero la Gallia “al di qua delle Alpi” per distinguerla dalla Gallia Transalpina, l’odierna Francia). Stiamo parlando delle città di Piacenza e Cremona, fondate contemporaneamente come colonie di diritto romano nel lontano 218 a.C. al culmine di una vasta campagna che aveva contrapposto i Romani ai Galli, in particolare la tribù degli Insubri, che aveva fissato la sua capitale in un centro il cui toponimo significa “nel mezzo della pianura”, in latino “in medio planum”, ovvero Mediolanum (odierna Milano). Subito i coloni di Placentia e Cremona, questi i nomi scelti allora per le costituende colonie, si trovarono alle prese con una minaccia terribile che non avrebbe mancato di sconvolgere la vita e l’economia della penisola in anni successivi, i cui strascichi si sarebbero avvertiti per decenni: nel 218 a.C. forte di un esercito di ventimila soldati e di alcuni elefanti africani varcò infatti le Alpi il condottiero cartaginese Annibale, l’uomo che forse più di tutti ha impressionato e atterrito il popolo romano di età repubblicana. Abilissimo generale, Annibale sconfisse ripetutamente l’esercito romano – celebre la disfatta di Canne – ed uno dei primi scontri avvenne proprio in quell’anno sulle rive del fiume Trebbia, che confluisce nel Po nei pressi di Piacenza, colonia all’epoca appena costituita insieme a Cremona. Va da sé che le storie di Cremona e Piacenza siano intimamente unite proprio dalla presenza di quel Grande Fiume sulle cui rive sono state fondate in quel drammatico anno 218 a.C. Il Po costituisce oggi anche il confine amministrativo tra Emilia-Romagna e Lombardia cui le due città rispettivamente appartengono, ma il legame tra queste due realtà provinciali rimane comunque fortissimo e non è forse un caso che recentemente si sia caldeggiato in quel di Piacenza un referendum per il passaggio della provincia dall’Emilia alla Lombardia. In tempi più moderni i due centri urbani sono stati uniti anche da una linea ferroviaria inaugurata nel 1933 (essa succedette alla tranvia a vapore SIFT in esercizio tra il 1892 e il 1935), il cui traffico passeggeri è sospeso dal 2013 ma ancora percorsa dai collegamenti merci della penisola.

Parlando di Cremona non si può tuttavia prescindere da alcune delle sue più importanti bandiere che rendono questo centro famoso a livello mondiale. Gli amanti della buona tavola sanno bene che la città è la patria del torrone, dolce che in questi tempi natalizi popola le tavole imbandite di tutto il Paese e che fece la sua comparsa – ironia della sorte a causa di un errore di preparazione – proprio a Cremona. Ma la città è anche rinomata per la tradizione dei maestri liutai: qui hanno operato i massimi artigiani di strumenti musicali che il mondo abbia mai conosciuto come Stradivari, Guarnieri e Amati i cui strumenti ad arco sono oggetto del desiderio per tutti i musicisti, frutto di una tecnica antichissima e di una selezione di legni adatti per un impiego in qualità di casse armoniche. E rimanendo nell’ambito musicale, tutti conoscono la “Tigre di Cremona”, l’inarrivabile Mina (nativa per la verità di Busto Arsizio ma la cui famiglia ha origini cremonesi) che ad ottant’anni ormai compiuti non smette di produrre nuove canzoni dal chiuso della sua casa in Svizzera, fregiandosi talvolta anche di collaborazioni con altri artisti; una voce ed una carriera che non hanno certo bisogno di presentazioni.

Come sempre nel mare magnum di storie che circondano ogni villaggio ed ogni campagna (parafrasando Pascoli) del nostro Paese, noi di Photo Transport Italia ci concentriamo sul trasporto pubblico locale.
La storia del trasporto pubblico urbano cremonese si presta bene ad un’analisi esemplificativa della parabola dei trasporti pubblici in area urbana nelle realtà di provincia italiane. Prima di lasciare spazio a qualche prudente considerazione generale conviene comunque fornire alcune linee di sviluppo di tale interessante storia. Occorre innanzitutto considerare la posizione di Cremona nel quadro del trasporto su ferro. La locale stazione ferroviaria, oltre ad ospitare un sempre nutrito deposito di materiale diesel oggi Trenord, è attraversata dalla linea Mantova – (Codogno – Casalpusterlengo –) Pavia, sostanzialmente divisa in tre tronchi di cui due elettrificati (Mantova – Codogno e Codogno – Casalpusterlengo, quest’ultimo in comune alla Milano – Bologna), mentre il tronco finale tra Casalpusterlengo e Pavia viene esercitato a trazione termica. La stazione è dunque attraversata dai servizi Regionali da Mantova per Milano via Codogno ma funge anche da capolinea per altri servizi, anch’essi esercitati da Trenord, sempre diretti al capoluogo meneghino che percorrono la linea per Brescia/Treviglio – i tracciati sono in comune fino a Olmeneta ove le due ferrovie si diramano. Da non dimenticare le ferrovie per Piacenza e Fidenza, comuni fino a Castelvetro Piacentino, a sud di Cremona appena oltre il Po, ma anche la cessata linea SNFT per Soresina – Rovato – Iseo di cui sopravvive, seppur sospeso al traffico passeggeri il solo tronco finale da Rovato Borgo a Iseo, che a partire da Bornato-Calino intercetta la linea ex SNFT e oggi Ferrovie Nord Milano da Brescia. Un’ultima annotazione va fatta circa gli scali merci: Cava Tigozzi, frazione di Cremona posta sulla linea per Pavia, riceve treni merci di rottami e coils a servizio delle Acciaierie Arvedi nonché cisterne e cereali; non lontano, presso Acquanegra Cremonese, ha sede la Veronesi Mangimi, dotata di uno scalo merci raccordato alla vicina stazione che riceve alcuni servizi di InRail di tramogge da Ravenna.

Accanto a questa corposa rete su ferro nel corso dell’ultimo secolo si venuta strutturando una lineare ma funzionale rete urbana, inizialmente affidata al tram a partire dal maggio 1916; le due linee tranviarie gestite dalla Società Elettrica Bresciana entrambe attestate alla stazione trovarono ben presto (1940) un sostituto con una nuova rete di linee filoviarie: la filovia 1 diretta ad est verso San Sigismondo, la 2 ad ovest verso Barriera Po. Una sostituzione caldeggiata dal ras Farinacci, tra gli animatori della prima stagione del fascismo agrario ed assoluto protagonista del Ventennio, in accordo con la politica di trasporto all’epoca promossa dal regime: fu Mussolini stesso a dire che la parola d’ordine, oggi, per i trasporti pubblici e urbani è “filovia” mentre lo stesso Farinacci dalle colonne del notiziario Regime Fascista sosteneva che Cremona merita l’aria migliore della pianura padana. Ad esercitare la primigenia rete cremonese furono chiamati dieci filobus FIAT 635F TIBB (matricole 1-10), integrati dopo la guerra da due FIAT 668F Cansa TIBB (serie 11-12) del 1952. Nel 1959 la SEB di Brescia rinunciò alla possibilità di proseguire nella gestione causa l’ormai “insostenibile” pressing del Comune di Cremona ansioso di ampliare anche la rete di autolinee urbane che all’epoca annoverava due linee (A e B, le cui percorrenze erano alternate) gestite da tre bus. Fu quella che potremmo definire la “multiutility” comunale AEM, acronimo di Azienda Elettrica Municipale, ad inglobare mezzi e servizi SEB. Nel 1960 vennero così ordinati due nuovi filobus FIAT 2401FU Cansa TIBB (lotto 13-14), seguiti nel 1964 da quattro FIAT 2405 Menarini TIBB (matricole 15-19), i quali consentirono di pensionare i veicoli dell’originaria dotazione del 1940. Il parco ora composto da 9 macchine rispondeva alla necessità di implementare la percentuale di collegamenti garantiti da veicoli a zero emissioni, in un’epoca in cui grazie al miracolo economico si stava affacciando la motorizzazione individuale di massa. A mostrare in maniera drammatica tutti i limiti del modello di sviluppo fondato sul “blocco della strada” fu la crisi petrolifera del 1973-74 che segnò l’improvviso e non preventivato quadruplicamento del prezzo del petrolio le cui importazioni erano state unilateralmente sospese dai Paesi dell’OPEC in segno di rappresaglia contro il sostegno accordato dagli Stati Uniti ad Israele nella guerra del Kippur. Il periodo dell’austerity segnato dall’aumento vertiginoso della bolletta energetica nazionale – il nostro Paese importava ed importa petrolio dall’estero per sostenere lo sviluppo del settore industriale – si scatena in tutta la sua potenza sul settore dei trasporti: privilegiando la produzione industriale nel consumo di energia si introdussero le “domeniche a piedi” in cui è sancito il blocco totale del traffico in favore di mezzi pubblici, biciclette e pedoni onde contenere il più possibile il consumo di benzina e derivati del petrolio di cui le produzioni industriali avevano crescente bisogno per mantenere alti i livelli di produttività. Una situazione così drammatica significò per AEM la necessità di garantire corse filoviarie ogni 7 minuti distribuiti su turni di lavoro continuativi di 18 ore e mezza; non male per una realtà di provincia dotata di un parco di sole nove vetture. Il crescente stress dovuto a questa inedita situazione portò nel 1975 al guasto di una delle sottostazioni elettriche cui seguì l’alienazione per guasti di quattro filobus (FIAT 668 e FIAT 2401) e la temporanea sospensione della linea 2. Le vivaci proteste della popolazione a seguito delle crescenti difficoltà a raggiungere il centro storico portarono l’Amministrazione comunale ad elaborare un piano di rilancio delle linee filoviarie cremonesi, una svolta storica condivisa con Rimini per metodo e veicoli in seguito adottati e che diede il via al contestuale rilancio delle infrastrutture filoviarie in Italia.

Qui sta il punto critico della storia dei trasporti italiani nella seconda metà del secolo ormai concluso: nonostante la crisi petrolifera avesse imposto un ripensamento del modello di sviluppo fondato sull’automobile e quindi un potenziamento dei servizi di trasporto pubblico per avere un’aria più pulita, un traffico meno congestionato e spazi urbani più vivibili, in buona sostanza i vertici dello Stato centrale, la pubblica amministrazione, il mondo industriale ignorarono questa petizione – che portava in seno alle proprie istanze anche alcuni timidi argomenti proto-ambientalisti che sarebbero divenuti ben presto di grande attualità – dal momento che la forza economica del “blocco della strada” come motore di sviluppo e lavoro pareva essere inattaccabile ed ormai imprescindibile. Si trattò di un’enorme occasione persa a livello nazionale per riconvertire in un’ottica più sostenibile – oggi una parola d’ordine visti gli sviluppi dei cambiamenti climatici, una triste conseguenza allora sconosciuta di quel modello economico – l’intera economia e la produzione industriale; a testimoniare questa asserzione fu l’autentica strage di linee filoviarie che si verificò nel Paese tra la fine degli Anni Sessanta e l’inizio degli Anni Settanta. Impianti e veicoli ormai vecchi di trenta o quarant’anni, retaggio dell’epoca dell’esplosione del fenomeno filobus in Italia coincisa con gli Anni Trenta, e bisognosi di un rinnovamento nulla poterono contro la forza persuasiva e finanziaria della “lobby” petrolifera. Due sole città si distinsero in questo quadro, attuando scelte anticicliche rispetto alle tendenze allora più consolidate, optando per un rinnovo di impianti e veicoli in nome di un’aria più respirabile: la prima fu Rimini tra il 1976 e il 1978, seguita a ruota proprio da Cremona nel 1981. Ed entrambe le aziende ATAM e AEM si rivolsero allora allo stesso carrozziere, la Mauri&C. di Desio, che fornì loro rispettivamente diciassette e otto filobus da 12 metri su telaio Volvo R59 con apparecchiature elettriche Ansaldo. I Volvo R59 Mauri Ansaldo furono i primi veicoli commercializzati dopo oltre dieci anni di stop produttivo di filobus in Italia (altro sintomo della forza culturale, oltre che economica e persuasiva, del “blocco della strada”) e segnarono l’avvio di una nuova stagione di riaperture e costruzioni filoviarie nel Belpaese che è coincisa anche con la prima timida affermazione delle istanze ambientaliste alla luce del drammatico fenomeno della congestione del traffico che a partire dall’inizio degli Anni Ottanta, con la generalizzazione delle conquiste delle lotte sessantottine e della stagione degli anni di piombo, esplose in tutta la sua virulenza. Ed è significativo che a farsi portatori di simili istanze furono tutto sommato due realtà di provincia (sebbene una, Rimini, possedesse allora come oggi una vasta esposizione internazionale) più che le grandi città dove la congestione raggiungeva picchi ormai insostenibili.

Riprendendo il racconto, AEM dunque ricevette nel 1981 otto filobus Mauri Ansaldo (serie 20-27) grazie ai quali fu possibile riaprire la seconda linea filoviaria; contestualmente nel 1983 fu attuata la riorganizzazione del servizio in centro storico con le due filovie che divennero finalmente passanti, entrambe attestate a da un lato a Barriera Po dall’altro nella zona dell’Ospedale ma differenziate per il transito dalla stazione per la linea 1, dal cuore del centro storico per la 2. Venne attuata anche la sostituzione del filo di contatto con l’adozione di sospensioni in Parafil le quali consentirono l’eliminazione degli isolatori.

A questo punto del racconto è interessante sottolineare un dato che riveste il ruolo di snodo cruciale per ogni considerazione successiva: circa il 50% dell’offerta di mezzi pubblici cremonese dell’epoca era svolta da mezzi ad impatto zero in quanto elettrici, i cui costi di gestione sommati alla durata media dei veicoli e relativa produttività superavano per rendimento economico analoghe spese sostenute per veicoli invece più inquinanti come gli autobus: 232 lire/km contro le 422 lire/km dei bus, cui va aggiunta la durata media maggiore dei filobus (20-25 anni) rispetto ai bus (8-10) che compensa i maggiori costi di gestione dovuti all’energia elettrica per alimentare sottostazione e bifilare nonchè la manutenzione dei veicoli e dell’infrastruttura. Questi ulteriori costi erano come detto ammortizzati grazie al più lungo periodo di esercizio dei filobus, mentre incalcolabili sono i vantaggi per la salute pubblica legati all’azzeramento delle emissioni di CO2 ed alla silenziosità dei veicoli, pur dotati di motore diesel ausiliario per spostamenti al di fuori della rete filoviaria. Significativo pensare come questi benefici strutturali nel 2002, data della chiusura della rete filoviaria cremonese, non siano stati tenuti in alcuna considerazione, barattati al contrario e troppo frettolosamente con una maggiore vivibilità degli spazi urbani del centro storico, certo indubbia ma non giustificabile di fronte alla complessità del quadro di azione amministrativa e metodologica entro cui la decisione rientra.
La successiva tappa dell’evoluzione della storia del trasporto cremonese dal punto di vista filoviario – proprio le linee 1 e 2 rimangono infatti le linee di forza sebbene nel mentre si vada strutturando l’intera rete cremonese coperta da 29 bus che garantiscono il milione di chilometri che si somma ai 600mila garantiti dalle filovie – avviene nel 1996, quando la AEM, da poco trasformata in Azienda Energetica Municipale (1995) dopo l’aggregazione dei servizi comunali di teleriscaldamento, igiene urbana e segnaletica stradale, acquista grazie al contributo della Regione Lombardia due macchine filoviarie sperimentali Breda 4001.12 Ansaldo (gruppo 28-29), su cui la casa pistoiese svilupperà vetture analoghe per le reti di Genova, Sanremo e Bari; le vetture cremonesi saranno perciò soggette ai tradizionali problemi di messa a punto che caratterizzano tutti i prototipi (non ultimi i Volvo Mauri di Rimini, gemelli più anziani dei cremonesi). A cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio l’Amministrazione comunale cremonese porta avanti un’azione di ristrutturazione delle partecipazioni azionarie che si va ad affiancare ad un’incisiva politica urbanistica riguardante l’istituzione di nuove aree pedonali: sarà l’incrocio tra queste due azioni ad essere fatale per la rete filoviaria cremonese, costretta ad un’inaspettata quanto discutibile chiusura. Anzitutto guardiamo alla razionalizzazione delle partecipate, laddove il ramo trasporto pubblico di AEM (nel frattempo divenuta SpA nel 1999) viene separato dal resto della multiutility sulla base delle ingiunzioni della Legge Bersani sulle liberalizzazioni, la quale imponeva ed impone la separazione tra gestore di asset, infrastrutture e programmazione dei servizi (in capo al pubblico tramite agenzie mobilità e società di patrimonio) e gestore del servizio, individuato tramite gara ad evidenza pubblica. Nasce così la nuova società KM, controllata al 51% da AEM e per il restante 49% da SAIA (gruppo SAB), allora titolare di una rilevante quota dei servizi extraurbani della provincia di Cremona, di Brescia e naturalmente di Bergamo ove aveva sede la casa-madre. Se tale divisione risponde ai termini di legge, la separazione spezza la sinergia gestionale e quindi economica tra fornitura dell’energia elettrica degli impianti e controllo dell’esercizio filoviario, tramite cui era possibile effettuare sensibili economie di scala ed eventualmente ripianare i disavanzi della gestione filoviaria – il TPL nei piccoli centri di provincia è soggetto a cronici deficit da un secolo a questa parte – con gli importanti ricavi maturati da AEM dal mercato dell’elettricità. A questa già disagevole situazione si aggiunge il tassello finale, ovvero la politica di pedonalizzazione che ha finito per escludere finanche i filobus dal transito in centro storico, già off-limits alle auto e simili veicoli a motore.
Si tocca qui un tasto dolente dei trasporti pubblici nel XXI secolo, ovvero la problematica convivenza tra i veicoli collettivi e gli angusti spazi dei nostri nuclei storici, con cittadini bisognosi di riappropriarsi con formula piena di spazi nati secoli fa per il passeggio, al massimo per il transito di carrozze e carretti a trazione animale, non certo di ingombranti filobus dodecametrici. D’altro canto, il crescente allargamento delle città a detrimento delle aree rurali pone l’esigenza di un collegamento collettivo esteso, diffuso e capillare; a ciò si aggiunge una progettazione urbana che nel corso del secolo scorso ha raramente tenuto conto della presenza e della dignità dei cosiddetti “utenti deboli della strada” (bici, pedoni e simili), una designazione già indicativa del contesto mentale e culturale che ha prodotto le scelte urbanistiche e sociali, privilegiando in maniera smodata l’automobile; non ultimo il continuo ma costante drenaggio di risorse pubbliche a favore dell’industria dei consumi privati, specie quelli riferibili al “blocco della strada” rispetto alla garanzia di welfare e democrazia rappresentata dal trasporto collettivo; questi i fattori hanno allargato la forbice del problema che qui si pone. Ne è nato l’eterno dilemma tra l’accessibilità di centri storici pedonalizzati e la necessità di privilegiare, specie a fronte dei sempre più incombenti cambiamenti climatici, il trasporto pubblico come modalità prediletta per raggiungere i diversi angoli delle nostre aree urbane. Il mix tra queste due necessità non è sempre risultato felice e fior di amministrazioni si sono arrovellate per trovare un equilibrio non sempre soddisfacente, talvolta mantenendo in blocco i transiti, talvolta sopprimendoli del tutto, talvolta ricorrendo a non sempre fortunate navette con bus di volta in volta sempre più ecologici ma caratterizzate da pesanti deficit di esercizio in virtù della limitatezza del percorso e delle esigue capacità di carico nonché dalla necessità di effettuare una rottura di carico in punti predeterminati che certo non invoglia gli utenti dei più lontani quartieri a servirsi dei mezzi pubblici, preferendo piuttosto l’automobile sebbene non sempre siano disponibili parcheggi sufficienti (e talvolta ciò accade non senza ragione…). Il problema dell’accessibilità dei centri storici e della transizione verso un modello più sostenibile di trasporto urbano che ponga al centro il mezzo pubblico è tuttora un rebus per la gran parte delle realtà italiane, specie quelle di provincia che da sempre fanno i conti con un tasso di utilizzo del TPL attorno al 5-6% medio contro il 25% delle metropoli, comunque briciole rispetto all’impero dell’auto privata.
La risposta cremonese varata all’alba del nuovo millennio fu un nuovo piano del traffico che nel 2001 – facendo seguito ad una gara del TPL andata deserta ma che imponeva il mantenimento dell’esercizio della centrale linea 1 – promosse una pedonalizzazione rigida dell’area centrale della città. All’atto di stilare i nuovi requisiti di gara, più onerosi per il comune, non ci si premurò, forse consapevolmente, di imporre una clausola che mantenesse il transito dei filobus in centro. Fu così che si optò per la deviazione della linea 1 fuori dal nucleo storico, rimpiazzata da navette adduttrici esercitate con bus di piccole dimensioni; invariata invece rimase la diametrale filovia 2. In breve tempo si registrò un drastico calo di utenza, allontanatasi dal mezzo pubblico ormai non più rispondente alle necessità di raggiungere in maniera semplice e veloce il centro storico, fatto che si sommò alle difficoltà poc’anzi accennate di ripartizione dei costi tra deficit del trasporto pubblico e utili del ramo elettrico di AEM. L’opera fu completata nel 2002, quando, di fronte alla prospettiva di rinnovare la flotta composta da 8 ormai anziani Volvo Mauri, si decise per la chiusura anche della seconda linea filoviaria. Il ribaltone era ormai completato: Cremona si ritrovò in breve tempo dal ruolo di gonfalone del rinnovo delle infrastrutture filoviarie in Italia alla sgradevole posizione di ennesimo centro che aveva disinvestito sulla filovia per una mancanza, a questo punto della storia, ormai anche culturale, di visione e programmazione da parte della classe dirigente italiana su tutti i livelli, centrale e locale. A Cremona si evidenzia in tutta la sua drammaticità il problema dell’interazione tra urbanistica, piani del traffico e funzionalità di un trasporto pubblico che prima del “massacro” di inizio Duemila presentava numeri comunque significativi se rapportati alle dimensioni del centro urbano. Naturalmente è impossibile indicare con precisione un singolo e determinante fattore, una responsabilità di questo poco edificante risultato, dal momento che la storia insegna ad osservare sempre una pluralità di cause ed è sicuramente anche questo il caso.
Giungendo in breve ai giorni nostri, occorre ricordare che nel 2010 KM diviene una filiale del Gruppo Arriva Italia, già titolare del 49% delle quote societarie tramite la controllata SAB Bergamo e quindi acquirente del restante 51% messo in vendita dalla multiutility AEM.

Terminata questa ampia panoramica storica sul servizio di trasporto pubblico cremonese veniamo dunque all’attualità con il racconto per immagini del servizio. I mezzi attualmente di categoria urbana in servizio sono molto diversi e particolari: dai CityClass fino ai nuovi Alfabus E-City L12, giunti nel 2019 come veicoli sperimentali in prova fino alla fine del 2021. Rimane inevaso il tema di come un veicolo a trazione elettrica a batteria possa compiutamente sostituire una linea filoviaria, per quanto il percorso non corrisponda (causa l’anzidetta evoluzione storica) a quello dello storico numero 1. Sebbene infatti il bus elettrico si presenti tendenzialmente come un veicolo più flessibile del filobus, non vincolato al rispetto di un percorso predeterminato dal bifilare e sgravato dai costi di gestione dell’infrastruttura e dell’energia elettrica necessaria ad alimentarla, è ugualmente vero che il ciclo di vita medio di un pacco di batterie atte all’alimentazione del motore è pur sempre limitato a circa 8 anni considerando mediamente due cicli di batterie come vita completa del bus, quindi 16 anni, laddove un filobus con una normale manutenzione può “campare” ben più di 20 anni. Inoltre la curva dei maggiori costi di gestione del filobus dovuti alla presenza dell’infrastruttura tende ad avvicinare sul lungo periodo e poi sopravanzare per efficienza e rendimento l’analoga curva tracciata dagli e-bus, proprio facendo leva sul fatto che la vita media dei veicoli filoviari supera di molto quella dei bus elettrici. Quanto alla flessibilità invece i risultati conseguiti in questi ultimi anni dalla ricerca nel campo dell’automotive applicato ai trasporti collettivi hanno permesso di raggiungere traguardi fino a pochi anni fa ritenuti sbalorditivi: i moderni filobus full electric in-motion-charging possono infatti garantire, secondo il costruttore Kiepe Electric, la piena funzionalità di una tratta a fronte di un bifilare presente solo sul 30% del percorso (il restante 70% è esercitato in marcia autonoma a batterie, quindi con emissioni zero), laddove in Italia la normativa USTIF prevede un “tasso di filoviarizzazione” minimo del 70%, un limite ampiamente superato dalle moderne tecnologie¹. Si prevede dunque che nei prossimi anni le case produttrici siano in grado di immettere sul mercato filobus dotati di questo tipo di tecnologia a prezzi competitivi anche per realtà piccole di scala provinciale. Occorre dunque riconsiderare il ruolo del filobus anche a fronte delle incertezze e delle deficienze che ancora oggi caratterizzano i rendimenti degli e-bus – altra criticità è la limitata capienza dei bus a causa del peso che il pacco batterie posizionato sull’imperiale distribuisce sui due assi, la cui incidenza si aggira sul 30% della capacità complessiva, come dimostra lo stesso Alfabus E-City 12L  –  come pure le strategie amministrative (e quindi di cultura della mobilità) che ne governano l’introduzione. Dichiarazioni come quelle rese nel 2017 alle colonne di CremonaOggi da parte dell’allora Assessore alla Mobilità e Ambiente Alessia Manfredini, membro della precedente giunta – “Io sono assolutamente a favore dell’elettrico per la mobilità urbana e abbiamo spinto l’idea di un autobus ad alimentazione elettrica nel collegato ambientale. Ma non si poteva pensare di ripristinare una rete fissa che non può garantire di per sé quelle condizioni di flessibilità che richiede oggi il trasporto pubblico, una rete oltretutto che sta mostrando in tanti punti troppe carenze sul fronte della sicurezza” – andrebbero dunque oggi “prese con le pinze” alla luce dei recenti sviluppi.

Le linee urbane di oggi sono per la maggior parte numerate tramite lettere. il collegamento più strategico è certamente costituito dalla linea E, attualmente esercitata dagli elettrici Alfabus E-City, linea il cui tracciato ricalca a grandi linee il tracciato della precedente filovia 1 e che quindi collega l’ospedale e il centro con Barriera Po sostando in stazione in entrambe le direzioni di marcia. Meritano attenzione anche le circolari M e F che percorrono in senso inverso il tragitto tra il centro geriatrico, il cimitero, la stazione e l’ospedale. L’unica linea numerata è la linea 6 che percorre la tratta Ospedale-Stazione-via Ghinaglia.

Proponiamo dunque una sintetica panoramica fotografica riguardante gli autobus attualmente in servizio per conto della filiale cremonese di Arriva Italia.

MEZZI URBANI:

Gli Irisbus CityClass 591E.10.27 sono immatricolati in solo lotto con numerazioni diverse, indicate di seguito nelle didascalie.

   Matricola 30, facente parte del lotto 30-36/88

Oltre ai CityClass a marchio Irisbus circolano anche tre esemplari di Iveco CityClass del lotto 87/160-161.

  Matricola 160 in sosta in stazione

 

Tra i mezzi urbani, oltre ai CityClass, Arriva KM possiede anche tre esemplari di Otokar Kent C che compongono il lotto 506-508, utilizzati sulle più svariate linee tra cui la M, come testimoniano le immagini allegate.

Un esempio della matricola 508 in servizio sulla linea M

 

Oltre ai Kent C, Arriva KM può contare anche su un Otokar Vectio 250 C, usato solamente per la linea D, immatricolato 505.

 

Tornando in casa Iveco, per le strade cremonesi circola pure un esemplare di Iveco Urbanway da 10.5 metri consegnato nel 2015 e numerato 504.

 

  Urbanway 504 in servizio sulla linea M

I mezzi elettrici, come accennato, hanno fatto la loro comparsa nel dicembre 2019 nella forma di due Alfabus E-City L12, unici esemplari di questo modello presenti in Italia. Si tratta di veicoli in prova per due anni (scadenza a fine 2021), usati solamente per la linea E.

                          Matricola 509…

                              … e matricola 510

MEZZI SUBURBANI ED EXTRAURBANI:

Per quanto riguarda i mezzi suburbani ed extraurbani, Arriva possiede un parco mezzi con vasta possibilità di scelta, dagli Irisbus Crossway fino ai MAN Lion’s City.

I Lion’s City furono acquistati in numero di 6 esemplari, immatricolati come 206-209/212-215/217.

  matricola 209

In aggiunta circolano anche due esemplari di VDL Futura bipiano numerati 210-211, giunti intorno alla metà del 2017.

Matricola 211

Tornando un po’ sul “vintage” circolano ancora pochissimi Irisbus 389E.12.35 EuroClass acquistati in quattro esemplari che compongono il lotto 202-205.

 in servizio sulla linea K210

Oltre ai due bipiano e al 389, Arriva annovera anche 11 esemplari di Irisbus MyWay.

  La matricola 163 fa parte di diversi lotti separati         145/149/153-155/163-166 sparsi per la   provincia

Rimanendo in tema Irisbus, Arriva è dotata di 16 esemplari di Irisbus Arway da 12 metri del lotto 171-184/196-197, nonché di 5 esemplari di Irisbus Crossway mid-floor che formano i lotti 185-186/192-194.

 Arway 171…
  … e Crossway 186

Vi è anche la possibilità di incontrare due esemplari di Iveco CrosswayLE, numerati 218/223.

   CrosswayLE 218…
  … e 223

Per quanto riguarda la beneamata Mercedes-Benz, a Cremona circolano quattro Citaro di prima serie acquistati tra il 2000 e il 2001 che compongono il lotto 219-222.

 In fotografia il Citaro matricola 220…
… ed infine anche la vettura 221

Un po’ di fonti…
A margine del nostro articolo ci pare opportuno segnalare alcune utili fonti web per l’approfondimento dei temi trattati:
http://www.vascellocr.it/storia2.htm – un approfondimento dai toni battaglieri ed appassionati sull’annosa questione dell’accessibilità del centro storico cremonese e sulla gestione e dismissione della rete filoviaria;
https://www.cremonaoggi.it/2017/12/02/addio-vecchi-filobus-lultimo-circolare-fu-nel-2002/ – articolo del quotidiano online CremonaOggi concernente la dismissione del servizio filoviario e le politiche seguite per la sua sostituzione con modalità ecologicamente compatibili (contiene l’intervista all’Assessore Manfredini, citata nel nostro articolo).
Per chi desiderasse ottenere uno schematico riepilogo dei temi trattati, consigliamo la voce di Wikipedia sulla “Rete filoviaria di Cremona” nonché la consultazione dei siti internet di AEM Cremona SpA (https://aemcremona.it/) e naturalmente di Arriva KM Cremona (https://km.arriva.it/) contenente anche percorsi ed orari delle linee urbane ed extraurbane trattate nel nostro scritto.
(URL consultati l’ultima volta il 23 dicembre 2020).
Note
¹ : cfr. YouTube “Presentazione nuovi Scania Interlink LNG di Tper Bologna“ di CTR Aperitivo Ferrotranviario (https://www.youtube.com/watch?v=z6VelIWsB58 – URL consultato l’ultima volta il 23 dicembre 2020)

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